Benvenuti nel blog della Decima Legione.

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martedì 24 aprile 2012

25 Aprile: riflessione al contrario


Io francamente, non’ho mai capito cosa ci sia da festeggiare il 25 Aprile. Quando ero bimbo e andavo a scuola era una festa che tutti aspettavano in quanto rappresentava una festa come le altre che non erano le domeniche, ma nulla più. Mai fatto niente per ricordare una festa derivante da una guerra dalla quale uscivamo sconfitti e umiliati da una parte e traditori dall’altra! Era un giorno di festa, la mia curiosità di bambino nasceva e moriva all’istante. In Italia nessuno sente propria questa festa, tranne quella parte di mondo politico e istituzionale che da 65 anni specula sulle morti di tanti giovani, padri di famiglia, militari e civili e su questi morti ha costruito ponti di carta, ne ha umiliato il ricordo da una parte e dall’altra e ancora oggi organizza manifestazioni di inutile retorica e un contenuto inutile alla riflessione. IL termine “ liberazione“ e la data 25 Aprile hanno poco in comune: rappresenta semmai la data in cui l’Italia cessò di essere uno stato sovrano e veramente indipendente (ad oggi sono ancora 100 le basi USA in Italia.) Non si può certo definire libero un Paese che, liberato dai Tedeschi, viene occupato da: Americani, Inglesi, Francesi, Australiani, Neozelandesi, Indiani e Marocchini. 
Ad una occupazione ne sono seguite altre sette. E se le cose fossero andate al contrario? Ovvero i Tedeschi avessero rigettato in mare gli alleati, oggi festeggeremo un’altra liberazione, una all’opposto? Il mio giudizio muterebbe ben poco. 
Il nostro è un paese strano: gli oltre 20 milioni di tesserati al partito fascista, costretti o no, scompaiono tanto velocemente quanto le migliaia di partigiani divengono 10 volte tanti dal 25 al 30 aprile 1945. La realtà è che questo paese e i suoi abitanti hanno terminato di essere liberi il 25 Luglio 1943 e cedendo la propria sovranità l’8 Settembre dello stesso anno. La Repubblica Sociale al cento nord, lo Stato Multinazionale al centro sud, la Repubblica Italiana nel 1948 con i brogli (come adesso ) con il referendum fra Monarchia e Repubblica, rappresenta quanto scaturito dai paesi occupanti, e pure quando abbiamo tentato di divenire indipendenti non solo politicamente ma anche nei settori strategici per esempio l’energia, mi viene in mente Enrico Mattei, ci è stato impedito. 
Da tale disastro politico, più che militare, l’Italia non si è più ripresa. La Germania e il Giappone hanno perso la guerra con gli Americani e i Russi, l’Italia l’ha persa con tutti e con essa l’onore. Questo mio pensiero non vuole essere politico: il sottoscritto ha voluto fare il percorso inverso, perciò con diritto a giudicare con competenza l’argomento e il pensiero di cittadino Italiano.

Giampiero Mugelli

venerdì 20 aprile 2012

Giustizia e autodifesa

Non ci si fa giustizia da sé, è vero ma che centra con l’autodifesa che è un diritto. Perché leggi magistrati e una parte di stampa italiana, si sentono autorizzati a condannare chi si è difeso da una illegalità, pronti a dimenticare chi come i due marò, prigionieri in India che ci anno difesi  dall’illegalità?  La giustizia accerta colpevolezze di un imputato, raccoglie prove e testimonianze, agisce con calma, non’è in pericolo fisico (l’imputato). La vittima di un’aggressione, o di una rapina non si fa giustizia da sola, ma si difende, spesso in inferiorità numerica: è minacciata e picchiata sul lavoro o in casa propria da qualcuno che sta commettendo un crimine e deve farla desistere, è nel panico, non solo perché è stata aggredita, ma sa anche grazie a leggi inesistenti e al sentimento di pietà per il colpevole invece che per la vittima se specialmente è extracomunitario. L’aggressore non’è certo della pena. La giustizia dovrebbe essere una certezza dello stato.  La legittima difesa è un diritto del cittadino, pure se può costare la vita del criminale. Colui che và in una casa, oppure nel posto di lavoro a rubare e uccidere, è l’unico responsabile degli eventi e delle conseguenze che avverranno.   In Italia non’è così, le cronache ci mostrano commercianti,  gioiellieri, tabaccai e altre persone che lavorano e faticano sottoposti a processi perché hanno osato reagire, anche uccidendo per non essere uccisi.   Si se uno viene aggredito in casa o sul lavoro, l’aggressore minaccia con un’arma la moglie o ruba oppure tenta di violentare la figlia, l’aggredito ha il diritto di difendersi, di sparare se ha un’arma legalmente denunciata, lo stato dovrebbe tutelare l’aggredito, non accusarlo di  eccesso di difesa come regolarmente avviene.     Stato, giornali, personaggi politicamente corretti, in questa società malata pronti ad accusare il pericoloso pistolero che si è difeso, come se il colpevole dell’aggressione e delle sue paure dipendessero da lui.  
Nello stato, nella giustizia c’è un moralismo di ideologia: il cattocomunismo, quella ideologia che mena la danza: il commerciante è di destra ricco e evasore, il rapinatore è di sinistra, è quasi un eroe specialmente se è extracomunitario, se è rom.  IL primo ha già legalmente rubato, è colpevole di possedere qualcosa, l’altro deve rubare perché è spinto dal bisogno e dall’ingiustizia sociale.  Niente è peggio del moralismo ideologico, e in Italia domina, non fra la gente comune che subisce stancamente e con paura questa ideologia, ma fra coloro che contano, chi amministra la giustizia, chi fa opinione, è lotta di classe, è strascico del 68. Se fra la gente comune qualcuno mugugna o espone pensiero contrario a quella ideologia dominante, diventa razzista, non si può parlare o ragionare.  Per questo che non esiste solidarietà per i rapinati, mentre esiste per i rapinatori e si afferma sempre più. Non’è la pietà e il garantismo, ma è l’ideologia, la falsa coscienza che mena la danza, come ad esempio non siamo a centinaia, migliaia in piazza ha favore dei nostri due soldati prigionieri in India, prigionieri del nostro governo, e di noi stessi cittadini.
                                                                                                                    

Giampiero Mugelli