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mercoledì 22 aprile 2015

Quando a migrare sono gli italiani


“Accovacciati sulla coperta, presso le scale, con i piatti tra le gambe, e il pezzo di pane tra i piedi, i nostri emigranti mangiavano il loro pasto come i poveretti alle porte dei conventi. E’ un avvilimento dal lato morale e un pericolo da quello igienico, perché ognuno può immaginarsi che cosa sia una coperta di piroscafo sballottato dal mare sul quale si rovesciano tutte le immondizie volontarie ed involontarie di quella popolazione viaggiante."


In questo periodo di crisi generale si parla sempre più di immigrati, di barconi e di guadagni, ma nel marasma generale c'è sempre qualche italiano che tira fuori la frase "l'abbiamo fatto anche noi". Ecco, oggi vorrei sfatare questo falso mito, o almeno in parte falso, perché è vero si che anche noi siamo stati migranti, ma le modalità erano completamente differenti.
I nostri parenti partivano prima da Genova, poi da Napoli, Palermo e Le Havre (Francia), le condizioni erano pressappoco quelle dei migranti che giungono a noi dall'Africa, navi sovraffollate dove si diffondevano epidemie, con la differenza che la loro traversata del "mare-oceano" come lo chiamavano loro, durava dai 25 ai 30 giorni.
La traversata più tragica fu quella del Sirio che nel 1906 partì per il Brasile e finì inghiottita dall'oceano mentre un vescovo benediceva tutti i passeggeri.
I migranti che arrivavano prima a New York e dopo il 1892 ad Ellis Island dovevano passare "dall'accettazione".
L'isola delle lacrime la chiamava George Persec.
Qui i migranti venivano sottoposti a diverse visite sanitarie da parte di un Ispettore, ad un questionario di 29 domande, e se non era troppo in là con l'età o non avesse con se dei soldi per permanere in America, veniva IMMEDIATAMENTE rispedito al mittente.
Superato l'ostacolo dei controlli il migrante aveva davanti a se un altro problema, dove vivere? dove lavorare? cosa fare? 
I più fortunati avevano amici in America e riuscivano a star bene, gli altri finivano nelle mani dei boss, padroni italiani che masticavano un po' di inglese che accoglievano i migranti spaesati per schiavizzarli e costringerli a dei veri e propri pizzi. Lo stato americano, seppur in ritardo riuscì a bloccare questi giri, a differenza di quello italiano che continua a specularci sopra.
Gli italiani migranti erano mal visti in America, perché denominati "uccel di passo", ovvero andavano li solo per racimolare dei soldi per portarli in Italia e tornare a vivere lì.
Con questo clima di odio nacquero i cosiddetti pèonage, veri e propri casi di schiavitù o semi schiavitù.
Nessun migrante italiano ha vissuto in un albergo a 5 stelle americano, nessuno di loro ha mai avuto un sussidio, un reddito, un vitalizio o una scheda telefonica e delle sigarette. I nostri fratelli lavoravano nelle piantagioni di cotone o di caffè come schiavi, e tutto quello che guadagnavano erano costretti a spenderlo nei negozi dei proprietari dei campi, dove venivano serviti con dei prezzi assurdi. Per non dimenticare che spesso e volentieri venivano anche incatenati alle caviglie per paura che scappassero.
Un altra parola correlata a questi fatti viene spesso usata in italia, Xenofobia.
Anche qui vorrei ricordare che in America era in vigore la Legge di Lynch, il linciaggio.
Oltre ai numerosissimi neri, furono linciati tantissimi italiani come accadde a Tallulah (1899) nella Louisiana o di New Orleans (1891), quest'ultimo episodio creò anche un caso diplomatico tra Italia e America, 3 migranti siciliani vennero ingiustamente imprigionati e accusati di aver ucciso lo Sceriffo. La popolazione, fortemente anti italiana non poteva aspettare un regolare processo e quindi una folla di 20.000 persone fece irruzione nel carcere, impiccò i 3 malcapitati, e, come se non bastasse, crivellò di colpi i loro corpi già martoriati.
Questi malumori portarono nel 1907 all'insediamento della commissione Dillingham, come viene chiamata dal nome del suo presidente, che comincia a studiare gli effetti della nuova emigrazione poco desiderata e che, nel 1911, pubblica, in 41 volumi, i risultati del suo lavoro, che viene definito “la Bibbia dell’emigrazione”. Si trattava in realtà di un vero e proprio distillato di xenofobia e di razzismo dal quale derivarono tutte le successive norme restrittive, quali il Literacy Act del 1917 e i Quota Act del 1921 e 1924, che conclusero questa legislazione sull’immigrazione.
Nel 1917 dopo lo scoppio della Rivoluzione Russa, con la paura dei rossi e il Ku Klux Klan che si organizzava proprio in quel periodo, inizio anni Venti. Se è vero che xenofobia e razzismo avevano una forte componente antiebraica, è tuttavia altrettanto vero che di questo clima da caccia alle streghe soffrirono e pagarono un prezzo pesante anche i nostri emigrati italiani, si parlò di un migliaio di italiani internati nei campi degli Stati Uniti.
Uno spiraglio di luce si ebbe dopo la Guerra in Vietnam con Martin Luther King e la difesa delle minoranze etniche.
Con questo articolo non è mia intenzione sminuire nessuno o ghettizzare qualcuno, semplicemente voglio rispondere a tutti quegli italioti che continuano a paragonare l'odissea dei migranti italiani con la bella vita dei migranti africani. 
Io sono stanco di lavorare per pagare dei clandestini che fanno la bella vita a sbafo, non è questo il modo di risolvere il problema.


Alessandro Di Fiore


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