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domenica 4 settembre 2011

Ricordando il mio vissuto seconda parte

Quasi tutti gli articoli del mio blog sono firmati Mugelli Giampiero, adesso ho trovato due articoli in cui parla del suo vissuto, e in attesa dell'intervista che mi concederà ad Ottobre ho deciso di pubblicarli per dar modo anche a voi, grossomodo di conoscere la persona fantastica che è Giampiero.

Articolo 2.


Dopo aver scritto una storia del mio passato vissuto, molte persone mi anno fatto i complimenti invitandomi a scrivere altre storie; lo farò per loro e per le persone che apprezzano le cose belle e semplici.
Grazie a tutti.

Del mio passato vissuto, un altro bellissimo ricordo. Sono nato nel Monte, sopra Ronta, una collina del Mugello: in una casa di un gruppo messe di fronte l'una alle altre, in mezzo al verde fra campi e boschi. Case di contadini fra capre, polli, conigli e altre bestie. Al centro di questo gruppo di case una grande Aia (era quello spazio dove venivano fatti i lavori contadini come: la battitura del grano, lo scartocciamento delle pannocchie di granturco); le donne sedute al fresco degli alberi nelle giornate estive a fare la calza o rammendare e i bimbi a giocare. Dentro la mia casa un grande camino annerito dal fumo del fuoco, ai lati due panche di legno che d'inverno servivano alla famiglia per stare accanto al fuoco, al centro un gancio dove veniva attaccato il Paiolo, un grande contenitore di rame che serviva per scaldare l'acqua e cucinare. Nel centro della stanza un grande tavolo rettangolare con le sedie impagliate a mano, in un lato un grande acquaio in pietra. Le mezzine (contenitori di rame), servivano per andare a prendere l'acqua e contenerla. L'acqua veniva prelevata da una fontana distante 300 metri da casa, essa serviva per bere, cucinare e lavarsi. Sul muro erano tenute delle mensole di legno fermate al muro. Dall'altra parte una vecchia vetrina con bicchieri, piatti, altre poche stoviglie che non venivano mai adoperate, "sono quelle buone" diceva mia madre. Una grande Madia dove mia madre ci teneva i viveri e ci faceva il pane. Poi una piccola finestra con le tendine, al centro della stanza attaccato al soffitto un lume a carburo per fare luce la notte. Sotto la tavola un gattino nero che all'ora di cena aspettava qualche pezzetto di pane: in tutte le case ogni famiglia aveva il gatto, il suo compito era cacciare i topi. Poi delle scale di pietra che portavano al piano di sopra, dove c'era la camera da letto con una luminosa finestra che guardava la pianura borghigiana, un grande letto, due comodini, un armadio e un lettino dove dormivo io. Sono nato in una fredda giornata di febbraio del 1948, per 5 anni ho vissuto in quella casa con papà, mamma, altri bambini e altre famiglie in piena libertà. Si viveva tutti come fossimo un'unica famiglia, le porte di ogni casa erano aperte a tutti e ci aiutavamo l'uno con l'altro dividendo cibo, gioie e dolori. Mio padre era un uomo piccolo ma distinto, aveva dei baffetti ben curati, un viso sereno, gli occhi fieri pieni di passione e volontà. Era tornato a casa nel 1946 dopo 10 anni di guerra senza dare notizie alla famiglia che lo aveva pianto molto, ma tornò. Era cambiato, la guerra e la prigionia inglese lo avevano distrutto, ma la famiglia e chi gli voleva bene riuscirono a rendergli la vita. Mia madre era una donna piccola, carina, molto simpatica, piena di vita e ottimista, un vulcano, un concentrato di caparbietà e volontà. Infatti aspettò mio padre e nel 1947 lo sposò. Fu una cerimonia semplice, non possedevano soldi e non fecero neppure il viaggio di nozze. Il giorno dopo il matrimonio andarono a lavorare: mio padre a bonificare le gallerie e la linea ferroviaria dalle bombe e mine che la guerra aveva lasciato, mia madre nei campi. Nel monte ho vissuto per 5 anni, anni in cui ho imparato a camminare, a parlare e a crescere con altri bimbi. La mia famiglia era serena, i miei genitori contenti e fieri del poco che avevano e con umiltà e dignità si confrontavano con altre persone. Il giorno stavo con i bambini e le altre famiglie, mi trattavano come se fossi figlio loro; la sera tornavano mamma e papà dal lavoro, mentre mamma preparava la cena, mio padre e io apparecchiavamo la tavola, poi in attesa che la cena fosse pronta, mio padre mi prendeva in collo e mi raccontava delle storie: vere o false non so, ma erano bellissime. Ricordi chiari e indelebili nella mia mente, ora dopo tanti anni mi danno un senso di pace e commozione, mi illuminano di quanta fortuna ho vissuto nella mia infanzia. Ricordi che aprono il cuore alla beatitudine e all'amore.

Mugelli Giampiero

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